I Bambini da 0 a 3 anni Soggiornano gratis in culla ( su richiesta e secondo disponibilità della struttura )
Sellero e Ventresca Via Lidia 40 tel. 06/45470443 Cucina Romana
Il Punto Caffarella Via Lidia 24 tel. 327/1747986 Pizzeria - Ristorante Glutenfree
Thyrus Via Latina 59c tel. 06/4541119 Pizzeria a Taglio - Friggitoria - Tavola calda
Zama Sushi Via Siria 10 tel. 06/45786918 Cucina Cinese e Sushi
Sacro e Profano Via Siria 16 tel. 06/55136181 Ristorante Mediterraneo
Taverna Latina Via Tommaso da Celano tel. 06/7808154 Ristorante mediterraneo - Pizzeria
L'Angelo Goloso Via Latina 57g-h tel. 06/7814 7053 Pasticceria
Rugiati Via Tommaso da Celano tel. 06/7827565 Pasticceria
CHIUSURA ANTICIPATA INTERA LINEA "A"
Dal 8 Aprile al 05 Dicembre 2024, a causa di lavori per rinnovo e sostituzione dei binari della tratta Ottaviano - Battistini, la metro chiuderà alle ore 21.00 dalla Domenica al Giovedì mentre il Venerdì ed il Sabato la metro chiuderà alle ore 01.30
Durante le chiusure anticipate sarà attivo il servizio navetta con i bus MA
CHIUSURA STRAORDINARIA MESE DI AGOSTO
Dalla Stazione " TERMINI " alla Stazione "BATTISTINI"
il servizio è sospeso nelle due direttrici Dal 10 al 25 Agosto 2024
La tratta viene sostituita con Bus MA6 e rimane attiva la tratta TERMINI - ANAGNINA nelle due direttrici
CHIUSURA TOTALE STAZIONI METRO
Stazione "Furio Camillo"
Dal 19 Agosto al 06 Novembre 2024 chiusura stazione per revisione speciale di scale mobili
Stazione "Spagna"
Dal15 Luglio al 03 Ottobre chiusura per restyling della stazione
Stazione "Ottaviano"
Dal 22 Luglio al 09 Settembre chiusura per restyling della stazione
La Metropolitana di Roma si divide in tre linee
Linea A
La Linea A della Metropolitana di Roma effettua un percorso di circa 18,500 Km tra le fermate di Anagnina e Battistini in ambedue i sensi di marcia rispettando l'orario di inizio corse alle 05.30 e di fine corse alle 23.30 dalla Domenica al Giovedì e dalle ore 05.30 alle ore 01.30 il Venerdì ed il Sabato
Si interscambia con la Linea B e B1 nella fermata di "Termini" e con la Linea C all'esterno della fermata di "San Giovanni"
Linea B
La Linea B della Metropolitana di Roma effettua un percorso tra le fermate di Rebibbia e Laurentina in ambedue i sensi di marcia rispettando l'orario di inizio corse alle 05.30 e di fine corse alle 23.30 dalla Domenica al Giovedì e dalle ore 05.30 alle ore 01.27 il Venerdì ed il Sabato.
Si interscambia con la Linea A nella fermata di "Termini" e con la Linea
Linea B1
La Linea B1 della Metropolitana di Roma effettua un percorso di 22,9 Km tra le fermate di Jonio e Laurentina in ambedue i sensi di marcia rispettando l'orario di inizio corse alle 05.30 e di fine corse alle 23.30 dalla Domenica al Giovedì e dalle ore 05.30 alle ore 01.27 il Venerdì ed il Sabato.
Si interscambia con la Linea A nella fermata di "Termini"
Linea C
La Linea C della Metropolitana di Roma effettua un percorso tra le fermate di Monte Compatri - Pantano e San Giovanni in ambedue i sensi di marcia rispettando l'orario di inizio corse alle 05.30 e di fine corse alle 23.30 dalla Domenica al Giovedì e dalle ore 05.30 alle ore 01.30 il Venerdì ed il Sabato con la particolarità di assenza del conducente
Si interscambia con la Linea A all'esterno della fermata di "San Giovanni"
Il costo del biglietto
Esistono vari ticket con importi diversi atti al fabbisogno di ogni viaggiatore :
B.I.T. costo 1,50 Euro
valido per cento minuti su tutti i trasporti di Roma Metro/Bus/Tram per una sola corsa in metropolitana ma fruibile su tutti gli altri bus e tram per i restanti minuti
Roma 24 H costo 7,00 Euro
Valido per 24 ore dalla timbratura su tutti i mezzi pubblici anche con più viaggi in metropolitana e Bus o Tram
Roma 48 H costo 12,50 Euro
Valido per 48 ore dalla timbratura su tutti i mezzi pubblici anche con più viaggi in metropolitana e Bus o Tram
Roma 72 H costo 18,00 Euro
Valido per 72 ore dalla timbratura su tutti i mezzi pubblici anche con più viaggi in metropolitana e Bus o Tram
CIS settimanale costo 24 Euro
Valido con le stesse modalidà del B.I.T. per 7 giorni consegutivi e necessita di apposizione del proprio nome sulla Carta pena invalidità
Roma Pass 48 H costo 32,00 Euro
Valido per 48 ore dalla timbratura su tutti i mezzi pubblici anche con più viaggi in metropolitana e Bus o Tram. Il biglietto include l'ingresso ad un Museo/Sito Archeologico/Experience
Roma Pass 72 H costo 52,00 Euro
Valido per 72 ore dalla timbratura su tutti i mezzi pubblici anche con più viaggi in metropolitana e Bus o Tram. Il biglietto include ingresso gratuito ai primi 2 Musei o Siti Archeologici o Experience a scelta
ATTENZIONE I BAMBINI FINO ALL' ETA' DI 10 ANNI VIAGGIANO GRATIS SU OGNI MEZZO PUBBLICO
Consigli Utili
A causa di probabile presenza di borseggiatori sui vagoni e sulle banchine delle fermate si invitano i viaggiatori a far attenzione ai propri bagagli e le proprie borse tenendoli a vista, sulla parte anteriore, specialmente in caso di zaini
Come già riportato in altre pagine del sito la struttura "Domus Lidia" dista circa 900 mt dalla più vicina stazione metropolitana della linea A " Ponte Lungo".
Valida alternativa per chi, proveniente dalla Stazione Roma Termini, vuole raggiungere la struttura è la linea Bus 360 con fermata a Piazza dei 500 ( Stazione Termini ) e capolinea a Piazza Zama, distante circa 250 mt dalla struttura ricettiva, per un totale di 15 fermate.
Inoltre valida alternativa alla metropolitana per chi, ospite del Domus Lidia, volesse raggiungere il centro storico della Capitale è la linea Bus 628, con fermata nella vicinissima Via Macedonia distante circa 50 mt dalla struttura, che con il suo percorso fino alla zona dello stadio olimpico vi accompagnerà nelle vicinanze di Terme di Caracalla - Circo Massimo - Bocca della Verità - Campidoglio - Piazza Venezia / Via del Corso/Fori Imperiali - Torre Argentina - Piazza Navona - Campo de Fiori - Pantheon - Piazza del Popolo e Piazza Mazzini ( zona Vaticano )
Si sottolinea che la zona del Domus Lidia è servita dal Car Sharing e monopattini/ biciclette elettrici
La storia romana, o storia di Roma antica, espone le vicende storiche che videro protagonista la città di Roma, dalle origini dell'Urbe (nel 753 a.C.) fino alla costruzione e alla caduta dell'Impero romano d'Occidente nel 476, anno in cui si colloca convenzionalmente l'inizio dell'epoca medievale.
Secondo la leggenda, la fondazione di Roma a metà dell'VIII secolo a.C. si deve ai fratelli Romolo e Remo, nonostante il prevalere del primo sul secondo. La data ufficiale, 21 aprile del 753 a.C., venne stabilita da Marco Terenzio Varrone, calcolando a ritroso i periodi di regno dei re capitolini (trentacinque anni circa per ogni re). Altre fonti in realtà riportano date diverse: Quinto Ennio nei suoi Annales colloca la fondazione nell'875 a.C., lo storico greco Timeo di Tauromenio nell'814 a.C. (contemporaneamente, quindi, alla fondazione di Cartagine), Fabio Pittore nell'anno 748 a.C. e Lucio Cincio Alimento nel 729 a.C. La datazione di Varrone - quella tradizionalmente celebrata - è considerata sia troppo alta (in relazione alla prima unificazione degli abitati, avvenuta presumibilmente nella metà dell'VIII secolo) sia troppo tarda (i primi insediamenti risalgono al II millennio a.C.).
Dal punto di vista archeologico, nella zona del Latium si sono osservate alcune tracce di pastorizia (suini, ovini, meno i bovini) e di modesta agricoltura (soprattutto farro, spelta ed orzo, per quanto fosse permesso dall'area paludosa). Con le prime operazioni di bonifica intorno all'età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.), si sviluppano anche le prime coltivazioni di frumento, vite e olivo. Si hanno alcune tombe ad incinerazione, sostituite poi nel IX secolo dalle prime sepolture; alcune tombe arcaiche mostrano poche offerte, segno di una società omogenea, e alcuni oggetti preziosi dal secolo successivo.
Ma la vera e propria città si venne formando attraverso un fenomeno di sinecismo durato vari secoli e culminato appunto alla metà dell'VIII secolo a.C. In analogia a quanto accadeva in tutta l'Italia centrale, le origini della città si devono ad una progressiva riunione in un vero e proprio centro urbano dei villaggi sorti sui tradizionali sette colli: si trattava di insediamenti dell'antica popolazione dei Latini, di stirpe indoeuropea (gruppo latino-falisco), già presenti dal X secolo, cui si aggiunsero genti sabine (pure di stirpe indoeuropea e appartenenti al gruppo osco-umbro), provenienti dalle montagne dell'alto Lazio, e nuclei di mercanti e artigiani etruschi
Se l'Italia era la regione media dell'ecumene, Roma sorgeva nella regione media dell'Italia. La mens divina aveva voluto che Roma fosse il centro del centro. La località presentava ampie zone pianeggianti presso il Tevere, che tuttavia erano in parte occupate da paludi e stagni. Le colline che si affacciavano sul fiume erano inoltre ricche di acque e controllavano il guado del fiume presso l'isola Tiberina, al punto di intersezione di due importanti direttrici commerciali. La prima direttrice commerciale andava dalla costa alle zone interne della Sabina lungo la valle del Tevere ed era utilizzata per l'approvvigionamento del sale, indispensabile per le economie agricolo-pastorali: corrisponde alla via Salaria di epoca storica. La seconda era rappresentata dall'itinerario che andava dall'Etruria alla Campania, su cui transitavano altre due preziose merci: il ferro e gli schiavi. Inoltre, il Tevere stesso era una via commerciale, utilizzata per il trasporto del legname proveniente dall'alta valle tiberina. Alla base della futura espansione di Roma, quindi, c'è anche la sua posizione strategica che già in età arcaica la rendeva un importante emporio commerciale.
I primi re di Roma sono generalmente considerati come figure prettamente mitologiche, poiché la datazione proposta da Varrone - che considera un totale di 244 anni per i sette monarchi - è molto probabilmente troppo lunga. La tradizione attribuisce ad ogni sovrano un particolare contributo nella nascita e nello sviluppo delle istituzioni romane e dello sviluppo sociopolitico dell'Urbe. Il primo re e fondatore fu Romolo, che avrebbe dotato la città delle prime istituzioni politiche, militari e giuridiche. Morì in modo misterioso e si disse che fu accolto tra gli dèi col nome di Quirino.
Numa Pompilio, il secondo re, che regnò dal 716 al 673 a.C., è un nome tipicamente italico, di origine osco-umbra. La leggenda lo vuole creatore delle principali istituzioni religiose, tra cui i collegi sacerdotali delle vestali, dei flàmini, dei pontefici e degli àuguri; istituì anche la carica di pontefice massimo (pontifex maximus), nonché la suddivisione dell'anno in dieci mesi e la precisa regolamentazione di tutte le feste e le celebrazioni, precisando i giorni fasti e nefasti.
Il terzo re, Tullo Ostilio, succeduto subito al precedente, sedette al trono fino al 641, sconfiggendo i Sabini e conquistando Alba Longa, con una iniziale espansione territoriale nel Lazio. Da un punto di vista storico, si tratta di un fatto possibile, poiché alla metà del VII secolo a.C. si è osservato un abbandono dei villaggi limitrofi. Al re venne attribuita anche la prima pavimentazione del Foro.
Il successore Anco Marzio - dal 640 al 617 a.C. - ne proseguì l'opera, fondando la prima delle colonie, ossia Ostia (traducibile in latino come foci); la costruzione della nuova città era dovuta probabilmente alla necessità di controllare la zona meridionale del Tevere.
L'esistenza storica in particolare degli ultimi tre re pare essere accertata, sebbene sia possibile che i due Tarquini siano una duplicazione di uno stesso personaggio. Sotto questi sovrani, la città entrò nell'orbita etrusca ed ebbe una straordinaria fioritura oltre che una forte espansione territoriale. Tarquinio Prisco, regnante dal 616 per una generazione, effettuò diversi lavori pubblici, come il drenaggio delle zone pianeggianti attraverso la Cloaca Massima. Istituì anche un esercito guidato da tre ufficiali, i tribuni militari (tribuni militum), a capo di 3 000 fanti e 300 cavalieri. Viene organizzato anche il sistema elettorale attraverso le curie (dal latino per co-viria, intendendo una riunione di uomini).
Il sesto re, Servio Tullio, riorganizzò l'esercito nella nuova falange oplitica, con una divisione dei cittadini in classi secondo il censo (comizi centuriati), e in tribù secondo la residenza (comizi tributi); le tribù erano divise in quattro urbane (Suburbana, Palatina, Esquilina, Collina) e 17 rurali (poi divenute 31 dal V secolo a.C.). Servio Tullio effettuò anche un primo censimento e la tradizione lo vuole costruttore del tempio di Diana sull'Aventino. Venne introdotto anche l'aes signatum, ossia pani di bronzo contrassegnati.
L'ultimo re, Tarquinio il Superbo, venne cacciato nel 509 a.C., secondo la tradizione a causa dei suoi atteggiamenti arroganti e del disprezzo verso i suoi concittadini e verso le istituzioni romane: si tratta probabilmente delle conseguenze del decadere della potenza etrusca, della quale Roma approfittò per conquistarsi una maggiore autonomia.
I rapporti internazionali di Roma, testimoniati dal primo trattato con Cartagine del 508 a.C., furono bloccati temporaneamente per le tensioni e le guerre con i popoli confinanti quali gli Etruschi guidati da Porsenna, i Latini (che furono sconfitti dai Romani nel 496 a.C. presso il lago Regillo), e varie popolazioni unite come Ernici, Equi, Volsci e Sabini, che i romani sconfissero nel 431 a.C. sul monte Algido.
Inoltre, proprio in questo periodo cominciò il conflitto degli ordini, conflitto politico-sociale tra il ceto dei patrizi e quello dei plebei, che erano privi dei diritti politici e civili dei patrizi e mal sopportavano i privilegi economici degli aristocratici. Dopo una serie di secessioni, la plebe ottenne i suoi rappresentanti politici (tribuni) e l'accesso definitivo a tutte le magistrature (metà del IV secolo a.C.).
Nel frattempo, dopo la guerra contro Veio (per il controllo della valle del Tevere), Roma venne saccheggiata e danneggiata nel 390 a.C. da un incendio appiccato dai Galli guidati dal re Brenno, che con successo avevano già invaso parte dell'Etruria. L'intensità di quella vergogna verrà superata solo dal sacco di Roma nel 410 d.C. Superato lo choc del sacco ad opera dei celti di Brenno, i Romani avviarono una vigorosa espansione nell'Italia centromeridionale, favorita anche dalla necessità di trovare nuove terre da distribuire alla plebe romana e a una città sovrappopolata. Dapprima i Romani si scontrarono con le tribù dei Sanniti (343-295 a.C.) e poi contro i Tarantini aiutati da Pirro (re dell'Epiro), che vennero sconfitti nel 275 a.C. a Maleventum (che da quel momento fu ribattezzato Beneventum). Nel 270 a.C., con la vittoria sui Bruzi che detenevano fino a quel momento il controllo di molte città della Magna Grecia della Calabria centrosettentrionale, anche le poleis greche vennero annesse al territorio romano. Roma si ritrovò così a controllare un territorio che andava dallo Stretto di Messina a sud al fiume Rubicone, presso Rimini, a nord.
Le guerre contro le diverse popolazioni italiche, contro i Galli, i Cartaginesi e i Macedoni, porteranno a consolidare il dominio sull'Italia e a iniziare l'espansione in Spagna, in Macedonia e in Africa. Data simbolo di questa espansione nel Mediterraneo è il 146 a.C., anno in cui, dopo un assedio durato tre anni e altrettante guerre combattute nell'arco di più di un secolo contro Roma, cadde definitivamente Cartagine, la quale venne completamente rasa al suolo dalle truppe romane comandate da Publio Cornelio Scipione Emiliano. Anche Corinto, città simbolo della resistenza greca alla politica di espansione romana, venne conquistata e distrutta. Con queste due grandi vittorie, Roma abbandonò il ruolo di potenza regionale nel Mediterraneo Occidentale per assurgere a superpotenza incontrastata di tutto il bacino, il quale d'ora in poi, non a caso, verrà rinominato mare nostrum.
I problemi connessi ad una espansione così grande e repentina che la Repubblica dovette affrontare furono enormi e di vario genere: le istituzioni romane erano fino ad allora concepite per amministrare un piccolo Stato; adesso le province (da non confondere con le colonie romane propriamente dette, le quali erano stanziamenti di cittadini romani a pieno titolo, cives optimo iure in territori extracittadini soggetti all'amministrazione e organizzazione diretta dello Stato romano) si stendevano dall'Iberia, all'Africa, alla Grecia, all'Asia Minore.
Anche la struttura originale della famiglia, delle relazioni sociali e della cultura romana subirono profondi sconvolgimenti: il contatto con la civiltà greca e l'arrivo nella città di moltissimi schiavi ellenici (in molti casi più colti e istruiti dei loro stessi padroni) generò nel popolo romano, specialmente tra la classe dirigente, sentimenti e passioni ambivalenti: i Romani si divisero tra chi voleva conservare e chi invece desiderava innovare i costumi rurali romani - mos maiorum -, introducendo usanze e conoscenze provenienti dall'Oriente. L'accettazione della cultura ellenistica fece sì effettivamente che il livello culturale dei Romani, almeno dei patrizi, crescesse significativamente - basti pensare all'introduzione della filosofia, della retorica, della letteratura e della scienza greca. Tutto ciò naturalmente non accadde senza provocare una strenua opposizione e resistenza da parte degli ambienti più conservatori, reazionari e anche retrivi della comunità romana.
Costoro si scagliarono contro le culture extra-romane, tacciate di corruzione dei costumi, di indecenza, di immoralità, di sacrilegio nei confronti delle abitudini religiose romane. Questi due opposti schieramenti furono ben rappresentati da due gruppi di potere di eguale importanza, ma di radicalmente opposta visione: il circolo culturale degli Scipioni, che diede a Roma alcuni tra i più dotati comandanti militari della storia (l'Africano su tutti), e il circolo di Catone, il quale lottò accanitamente contro l'ellenizzazione del modo di vivere romano con una tenacia e un vigore che diventarono leggendarie (o famigerate a seconda dei punti di vista), tutto a favore del ripristino del più antico, genuino ed originale mos maiorum, quell'insieme di costumi e usanze tipiche della Roma arcaica che, secondo Catone, avevano permesso al popolo romano di rimanere unito di fronte alle avversità, di sconfiggere ogni sorta di nemico, di piegare il mondo al proprio volere.
Questo scontro tra nuovo e antico, come è facile immaginare, non si placò fino alla fine della repubblica, anzi possiamo dire che questo scontro tra "conservatorismo" e "progressismo" è stato presente in tutta la storia romana, anche nel periodo imperiale, a testimonianza di quale trauma deve essere stato la scoperta, il contatto e il confronto con civiltà al di fuori dei brulli paesaggi laziali.
Le continue guerre in patria e all'estero, inoltre, immisero sul "mercato" una quantità enorme di schiavi, i quali vennero usualmente impiegati nelle aziende agricole dei patrizi romani, con ripercussioni tremende nel tessuto sociale romano. Infatti la piccola proprietà terriera andò rapidamente in crisi a causa della maggior competitività dei latifondi schiavistici (che ovviamente producevano praticamente a costo zero). L'impoverimento della classe dei piccoli proprietari provocò da una parte la concentrazione dei terreni coltivabili in poche mani e una grande quantità di merci a buon mercato, dall'altra generò la nascita del cosiddetto sottoproletariato urbano: tutte quelle famiglie costrette a lasciare le campagne si rifugiarono a Roma, dove non avevano un lavoro, una casa e di che sfamarsi, dando origine a pericolose tensioni sociali (tentativi di riforme democratiche da parte dei fratelli Gracchi) abilmente sfruttate dai politici più scaltri.
Strumento delle nuove conquiste, ma anche delle violente guerre civili, fu la nuova, formidabile organizzazione dell'esercito progressivamente sviluppatasi, poi sancita dai provvedimenti di Gaio Mario intorno al 107 a.C.. A differenza di quello precedente, formato da cittadini-contadini ansiosi di tornare ai propri campi una volta finite le campagne belliche, questo era un esercito stanziale e permanente di volontari arruolati con ferma quasi ventennale, ovvero un esercito di professionisti attratti non solo dal salario, ma anche dal miraggio del bottino e dalla promessa di una terra alla fine del servizio. I proletari ed i nullatenenti vi si arruolarono in massa. Non era tanto un esercito di cittadini motivati dal senso del dovere, ma piuttosto di militari legati dallo spirito di corpo e dalla fedeltà al capo.
Nel I secolo a.C. la Repubblica cominciò a cedere: si affermarono, infatti, forti poteri personali dei personaggi politici più influenti che, facendosi interpreti dei bisogni delle masse meno favorite (fazione dei populares) o della necessità di mantenere il controllo nelle mani delle principali e più ricche gentes che controllavano il Senato (fazione degli optimates), porteranno a diverse guerre civili: Mario contro Silla, Cesare contro Pompeo, Ottaviano contro Marco Antonio.
Nonostante le fortissime tensioni politiche interne, arriveranno comunque altre conquiste: la Numidia grazie alla campagna di Mario contro Giugurta; la Bitinia, il Ponto, l'isola di Creta, la Cilicia e la Siria con le campagne militari di Pompeo contro i pirati e Mitridate VI del Ponto; la Gallia con le legioni guidate da Giulio Cesare.
La Repubblica dovette affrontare anche un grande tentativo di invasione da parte di tribù germaniche (guerre cimbriche), gravi rivolte di schiavi in Sicilia e nel Sud Italia (guerre servili e, soprattutto, la guerra sociale (90-88 a.C.) contro una coalizione di Italici, che si concluse con la vittoria romana, ma nello stesso tempo con la concessione della cittadinanza romana a tutti i popoli della penisola italica.
La tesi secondo cui il dominio di Roma ormai si estendesse su un territorio troppo vasto e fosse troppo complicato per le strutture della Repubblica gestirlo, provocando così la nascita del Principato, è ancora valida. Le ragioni dell'ascesa di un modello di governo centrale su base sempre più spiccatamente personale si devono ricercare, tuttavia, anche nel declino del governo senatoriale della Repubblica Romana, il cui primo atto va riallacciato alla figura emblematica di Scipione Emiliano. La diffusione di un sempre più marcato senso individualistico a Roma ha sicuramente traccia nella diffusione di effigi monetali ritraenti non più solo il più rappresentativo degli antenati del magistrato in carica, ma spesso il magistrato medesimo. Questo processo si manifestò in concomitanza con la penetrazione dei valori della civiltà ellenistica, favorita indubbiamente dalla conquista romana delle pòleis elleniche sulle coste della Magna Grecia (Italia meridionale) e della Sicilia, e sospinta dalla conquista romana della Macedonia, della Grecia e di gran parte del mondo ellenistico, ad eccezione dell'Egitto dominato dalla dinastia Tolemaica (l'Egitto venne comunque sottoposto a un sempre più pressante protettorato).
Il ricorso sempre più assiduo al mandato della dittatura iniziato con Gaio Mario, stravolse poi la portata costituzionale della magistratura dittatoriale, prevista dall'ordinamento repubblicano, fino all'esito della dittatura sillana, intesa come mandato a restaurare lo Stato romano in senso conservatore-oligarchico (a favore degli optimates) e non pervenuta ad un esito monarchico per l'esclusiva volontà di Silla. La dittatura cesariana (46-44 a.C.) riprese in pieno il modello sillano, seppur partendo da un campo politico opposto (quello dei populares, gli oligarchi più propensi ad usare la demagogia sul popolino, il vulgus, per assumere il potere) e formalizzò il rifiuto di un esito monarchico naturale adducendo la ragione del rifiuto culturale della Romanità per l'istituto monarchico ufficiale.
L'ascesa di Augusto (44-30) attraverso la partecipazione ad un istituto apertamente sovversivo come il "secondo" Triumvirato, si formalizzò nel 27 a.C. nella rinuncia ai poteri dittatoriali ormai estesissimi in cambio di un cooptato riconoscimento senatoriale di un "bisogno dello Stato romano" ad una figura di guida e di ispirazione politica del governo: con l'appellativo di Augusto, Ottaviano inaugurò così quel particolare istituto costituzionale romano noto come principato (da princeps senatus, presidente del Senato), erroneamente talvolta chiamato "impero" per l'appellativo di imperator assunto da Augusto, dimenticando che tale termine nella Repubblica non designava altro che il generale vittorioso e che la creazione di un'amministrazione decentrata attraverso la creazione di provinciae risaliva già al 237 a.C., con la conquista della Sicilia.
L'abilità di Augusto, in sostanza, risiede nel fatto che seppe imporre un governo personale, dotato di poteri amplissimi (imperium proconsolare maius et infinitum, cioè un comando superiore a quello dei proconsoli su tutte le province e gli eserciti; tribunicia potestas, ovvero l'inviolabilità, il diritto di veto e la facoltà di proporre e fare approvare le leggi; carica di pontifex maximus, che poneva sotto il diretto controllo anche la religione), camuffandolo da Repubblica restaurata, tramite la rinuncia formale alle cariche eccezionali tipiche della dittatura (rinuncia al consolato a vita, alla dittatura, ai titoli di re o di signore-dominus), non urtando così la suscettibilità della classe aristocratica, che aveva accettato il compromesso della cessione del potere politico e militare in cambio della garanzia dei propri privilegi sociali ed economici.
Per tutto il primo secolo continuò l'accrescimento territoriale dell'Impero (nuove province: Rezia, Norico, Pannonia, Mesia, Galazia, Egitto, Cappadocia, Britannia) sotto le dinastie dei Giulio-Claudii, e dei Flavi. Sotto Traiano, con la conquista della Dacia e di nuovi territori in Oriente, l'Impero raggiunge la sua massima estensione (117 d.C.). Sotto la dinastia degli Antonini si ebbe un periodo di pace e prosperità, sebbene verso la fine cominciò ad essere sempre più pressante il compito di difendere i confini dell'impero dalla pressione dei nemici esterni.
La crisi del principato, avviatasi già alla morte di Marco Aurelio, si concretizzò nell'ascesa di Settimio Severo (193-211) e nella riforma dell'istituto del principato, ormai estraneo alle dinamiche dell'ambito senatoriale e dominato da quelle dell'esercito. La monarchia militare severiana (193-235), seppure ripescò talvolta la necessità di una legittimazione senatoria, fu il preludio dell'avvento del dominato (285-641), dopo la fase assai dinamica dell'anarchia militare (235-285). Dopo la dinastia dei Severi, per tutto il III secolo saranno infatti le legioni a proclamare imperatori che spesso regneranno solo per brevi periodi e saranno perennemente impegnati in campagne militari di difesa dei confini dalle penetrazioni barbariche e di mantenimento del proprio potere dai rivali interni. La crisi economica fu anche crisi ideale e si diffuse il Cristianesimo, in parte combattuto ed in parte tollerato.
Con la Tetrarchia voluta da Diocleziano cominciò la divisione dell'Impero e vennero avviate profonde riforme nel tentativo di fissare lo status quo. Roma finì per perdere il suo ruolo di sede imperiale a favore di metropoli più vicine alle frontiere da difendere. Inoltre, in Oriente venne fondata da Costantino I sul sito della città di Bisanzio la "Nuova Roma", Costantinopoli.
La progressiva adozione della religione cristiana (che di converso si istituzionalizzò a contatto con lo Stato romano, assumendone tratti organizzativi e alcuni modelli iconografici) avviata da Costantino (306-337), si concluse, dopo periodi di oscillazione tra scelte protoereticali (Costanzo II, 337-361) e tentativi di restaurazione dei culti tradizionali, mediante l'organizzazione di un'istituzione ecclesiale parallela a quella civile (Giuliano, 361-363), con l'adozione ufficiale del culto cristiano (Teodosio I, 379-395). Nel successivo IV secolo il cristianesimo divenne progressivamente l'unica religione.
Nel IV secolo, l'Impero romano, piegato da una inarrestabile crisi politica ed economica ed incapace di respingerne le invasioni, fu costretto ad accettare sempre più frequentemente lo stanziamento di popoli germanici ("barbari") nei suoi territori.
Nel V secolo l'impero d'Oriente e quello d'Occidente erano ormai stabilmente divisi. Nell'Impero d'Occidente, ridotto ormai quasi alla sola Italia, Roma subì il sacco dei Visigoti di Alarico I nel 410 e quello dei Vandali di Genserico nel 455. Erano ormai i generali di origine germanica che difendevano l'Impero a esercitare un enorme potere, arrivando a creare e deporre imperatori a loro piacimento.
Nel 476 il re barbaro Odoacre depose l'imperatore Romolo Augusto e Costantinopoli lo riconobbe come rappresentante imperiale in Italia di Giulio Nepote, l'imperatore precedente che dalla Dalmazia ancora governava, almeno formalmente, sulla parte occidentale dell'impero. Odoacre coniò monete a nome di Giulio Nepote fino alla morte dell'imperatore nel 480, quando annesse la Dalmazia, segnando definitivamente la fine dell'Impero romano d'Occidente, e con esso l'inizio dell'Alto Medioevo.
Come già detto il Domus Lidia è ubicato nelle immediate vicinanze del Parco della Caffarella, nota area verde di Roma, che rientra nel più vasto comprensorio del Parco dell'Appia Antica
La Valle della Caffarella è una valle alluvionale creata dal fiume Almone, ancor oggi ricca d'acqua, che affiora da falde e sorgenti. Si estende dalla via Appia Antica alla via Latina e prende il nome dalla famiglia Caffarelli, proprietaria della grande tenuta che si estendeva sull'intera valle.
Oggi il toponimo viene anche utilizzato per indicare un'area urbana situata nella valle stessa.
Il territorio è interamente nel comune di Roma ed è parzialmente patrimonio del Parco regionale dell'Appia antica.
Il nome origina dall'unificazione delle tenute ivi preesistenti attuata nel '500 dalla famiglia romana Caffarelli. Tale famiglia negli anni precedenti si era ingrandita al punto da possedere un'enorme tenuta che si snodava da Roma ad Ardea lungo le vie Appia e Ardeatina all'interno dell'agro romano e includeva, oltre all'attuale parco della "Caffarella", le tenute di Valle Lata, Tufetto, Carroceto, Campo del Fico e Casalazzara, acquisite con atto notarile il 30 marzo 1461 da Antonio Caffarelli che così le sottraeva alla potente famiglia dei Colonna, i quali però mantenevano Ardea e il dominio politico su tutto il Lazio meridionale e i suoi centri.
La tenuta passò poi ai Pallavicini e nel 1816 fu acquistata dai Torlonia. Dai Torlonia, per matrimonio, passò nella famiglia di Gerino Gerini.
Nel 1996, al momento del piano di utilizzazione ed esproprio delle prime aree della Caffarella, il territorio si presentava abbandonato al degrado e costantemente minacciato dalla speculazione edilizia. Anche per fronteggiare quella pressione, il progetto di pubblicizzazione fu attivamente sostenuto e difeso da parte di associazioni di cittadini, e una ventina d'anni dopo (2016) Il Comitato per il Parco della Caffarella esiste ancora e - trasformato in Onlus - è ancora attivo su quel territorio. La Caffarella è attualmente una delle aree verdi più grandi di Roma (132 ettari di verde pubblico) e fra le maggiori aree verdi urbane d'Europa. Per quanto riguarda il costruito, vi si trovano il cosiddetto Colombario costantiniano, il Ninfeo di Egeria, la Chiesa di Sant'Urbano alla Caffarella, alcuni casali, tra cui il più noto è il Casale della Vaccareccia, documentato fin dal 1547, che incorpora una delle torri di guardia che nel medioevo popolavano la Campagna romana.
Un'estesa rete di sentieri permette di usare il parco per attività ricreative. Questo parco permette di farsi un'idea chiara dell'aspetto naturale che avrebbe l'area di Roma in assenza di antropizzazione, in quanto è un'area quasi del tutto vergine ed incontaminata all'interno dell'ambito dell'Urbe.
Passeggiando in questa valle verdeggiante attraversata dal fiume Almone, si incontrano numerosi resti archeologici di sepolcri, ville, torri e opere idrauliche relativi alle numerose frequentazioni nel corso dei secoli, dal VI secolo a.C. in poi. Di particolare interesse sono le “Valche”, torri/mulini costruite intorno all’XI secolo in prossimità del fiume per la lavorazione e il lavaggio dei tessuti.
Dalle fonti antiche sembra che in epoca romana il territorio fosse appartenuto alla famiglia di Erode Attico, oratore e politico ateniese vissuto a Roma nel II secolo d.C., che vi costruì un’enorme villa (il “Pago Triopio”). Relativo a questo complesso è il suggestivo ninfeo detto di Egeria, il “Tempio del dio Redicolo” e la chiesa di Sant’Urbano, originariamente tempio dedicato a Cerere, a Faustina e ad Annia Regilla, moglie defunta di Erode Attico. Da non perdere è la visita alle Cave romane che si estendono per diversi chilometri nel sottosuolo della valle della Caffarella. Utilizzate in età romana per l'estrazione della pozzolana, hanno subito nel corso dei secoli importanti riutilizzi, in ultimo come fungaia per la coltivazione dei Pleus o dei più comuni Champignon.
La fertilità del terreno, la ricchezza d'acqua ed il clima favorevole hanno permesso la crescita di una vegetazione varia e rigogliosa come ricordano testimonianze che vanno dagli antichi Romani fino al secolo scorso: fitti boschi intervallati da ampie radure, corsi d'acqua affiancati da una intricata vegetazione ripariale, zone umide coperte dalla tipica flora palustre.
Oggi di tutto questo non resta molto. L'uomo ha modificato il paesaggio per le sue esigenze produttive, sostituendo i regolari campi coltivati all'apparente disordine della natura. Ma non tutto è scomparso: restano ancora alcuni angoli quasi intatti, ricordo di tempi lontani, ma anche alcuni ambienti che si sono costituiti dopo, proprio in conseguenza dell'intervento dell'uomo.
Nel versante sinistro sono presenti tre boschetti di aceri, lecci, farnie e roverelle ricchi di alberi secolari, sul versante destro due boschetti di robinie, mentre nel fondovalle, oltre a un pioppeto, troviamo allineati lunghi filari di bagolari, gelsi e noci, segno dell'intervento umano.
Sui due altopiani che dominano la valle dell'Almone, le voragini formatesi dallo sprofondamento di alcune cave utilizzate fino a cento anni fa per l'estrazione di pozzolana, si sono riempite di una tipica vegetazione: olmi, fichi, evonimi, sanguinelli ecc. Dentro uno stagno nei pressi di via dell'Almone, tra canne, salici, giunchi ed equiseti volano i beccaccini e le ballerine, saltano rane e rospi, strisciano biscie e salamandre. Nei boschetti più isolati, nell'intricato sottobosco di pungitopo, corniolo, prugnolo, melo e pero selvatico, rosa selvatica e sambuco, risuona il canto di passeri, verdoni, verzellini, cinciallegre, capinere, merli, pettirossi, cardellini, strillozzi o l'improvviso chiocciare del fagiano. n alto nel cielo si possono osservare il beccamoschino, l'allodola ed il gheppio; il gheppio non è l'unico dei predatori della vallata; infatti anche la volpe abita a pochi passi da casa nostra. Sarà difficile vederla, ma potremo accorgerci della sua presenza dagli escrementi lasciati sui sentieri per marcare il suo territorio. Essa, assieme al gheppio e ai rapaci notturni che, come la civetta ed il barbagianni, abitano i mille ruderi, ci rende il prezioso servizio di eliminare i topi ed i ratti attirati dalle montagne di rifiuti abbandonati nelle parti più accessibili della valle
Tradizioni e leggende
La valle della Caffarella è oggi un tipico esempio di "Campagna Romana" dove storia e natura convivono purtroppo con degrado e incuria; ben diverso è stato l'aspetto ed il rispetto della valle nelle varie epoche storiche. Basti pensare alle tradizioni e leggende legate agli antichi Romani, il cui culto per tutte le manifestazioni naturali aveva deificato boschi, fiumi e sorgenti. Così il fiume Almone, che attraversa la valle, veniva identificato con uno spirito divino, il dio Almone, che dava l'acqua o la siccità a suo piacimento.
Questo dio aveva un culto importante perché era alle porte di Roma ed il suo rito si svolgeva ogni anno proprio dove le sue acque sfociavano nel Tevere: dal Palatino, dove c'era il tempio della Magna Mater (la dea Cibele), si portava il simulacro della dea con una solenne processione fino alla via Ostiense e lì si lavavano l'immagine e gli arnesi del culto nelle acque dell'Almone. Era un culto di origine orientale che si svolgeva ogni 27 marzo e l'importante cerimonia è durata fino alla fine del mondo antico.
Sempre lungo le sponde dell'Almone, ma stavolta proprio nel fondovalle della Caffarella, alle "idi di luglio" di ogni anno i cavalieri romani svolgevano le loro celebri cavalcate in onore di Marte Gradivo, in ricordo della battaglia del lago Regillo avvenuta nel 493 a.C..
Altri luoghi di venerazione per gli antichi erano i boschi, e infatti le vie consolari erano fiancheggiate, soprattutto nelle vicinanze dell'Urbe, da fitti "boschi sacri". In Caffarella, su un poggetto di fronte alla chiesa di S. Urbano, sono rimasti tre lecci a testimoniare la presenza di un vasto bosco sacro dove, secondo la leggenda, Egeria, una divinità arcaica minore connessa con le acque sorgive e con il parto, si incontrava con il re Numa Pompilio e dilettandosi in giochi amorosi gli consigliava e dettava le leggi (in realtà il bosco sacro dedicato ad Egeria era nei pressi delle Terme di Caracalla). I boschi sacri più belli ed imponenti, i "Luci", erano addirittura protetti da leggi che imponevano la pena capitale a chi osava deturparli.
Altre leggende sono legate ai luoghi della Caffarella, come quella del terribile dio Redicolo (il dio del ritorno), il quale, oltre a proteggere i viaggiatori che a lui si votavano, apparve una volta in maniera terrificante ad Annibale ed al suo esercito che dopo la vittoria di Canne marciava verso Roma, spaventandolo e facendolo tornare indietro.
Accanto a questi ed altri aneddoti la Caffarella ha una ricca e documentata storia. Infatti la valle, che si estende per circa 200 ettari fuori porta S. Sebastiano, ha avuto una grande rilevanza sia dal punto di vista storico artistico che da quello della storia del costume dei Romani antichi e moderni per la sua disposizione tra due delle più importanti vie dell'antichità: la via Appia Antica da un lato e la via Latina dall'altro.
La via Latina è di origine molto più antica dell'Appia: è una strada naturale, percorsa già nella preistoria, che partiva come molte altre strade nei pressi dell'isola Tiberina e, dopo circa 191 km, raggiungeva Capua. Durante il III sec. a.C., grazie ad un imponente sforzo ingegneristico, la strada fu rettificata; basti pensare che il tratto da Roma a Grottaferrata era un unico rettifilo di ben 15 km.
Oggi, a parte la fortunata eccezione del Parco archeologico della via Latina, poco si conserva di questa importante via dell'antichità.
Per quel che riguarda la Caffarella è opportuno ricordare parte del basolato con resti di sepolcri rinvenuti recentemente tra via di Vigna Fabbri e via Cordara, proprio dove la strada iniziava a superare con un viadotto il fosso cosiddetto dei Cessati Spiriti (che oggi è largo Tacchi Venturi); un altro bel complesso sepolcrale, con mosaici e nicchie, rinvenuto nel 1981 a largo Nicomede Bianchi, è stato invece reinterrato per asfaltare la moderna via Latina.
La via Appia, fatta costruire dal censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C., richiese uno sforzo di ingegneria stradale addirittura superiore a quello richiesto dalla via Latina; l'Appia, infatti, trascurava le vie naturali per puntare diritto verso Capua, e così anticipava il concetto delle attuali autostrade.
All'inizio del Medioevo numerose torri sorsero sia sulla via Latina che sulla via Appia, per imporre gabelle a chi transitava per quelle strade. Così, per evitare il dazio, si creò attraverso la campagna romana una viabilità secondaria che, in seguito, prese il sopravvento. Il tracciato artificale dell'Appia fu perciò sempre meno soggetto a quella continua manutenzione che ne consentiva la viabilità e pertanto venne abbandonato a vantaggio della via Latina, che ugualmente raggiungeva Capua, o di nuove vie come la Tuscolana, la Casilina, l'Appia Nuova.
La valle della Caffarella quindi, sia per la sua posizione alle porte di Roma, sia per la naturale fertilità del terreno, ha rappresentato per secoli luogo di coltivazione di frutta e ortaggi.
Roma antica infatti, se poteva importare il grano, doveva invece per forza coltivare nei suoi paraggi i prodotti di rapido deterioramento; logico quindi che nella valle della Caffarella si moltiplicassero le cisterne (se ne contano almeno sei) e si estendessero fondi famosi, quali quello di Erode Attico.
Erode Attico era un ricchissimo e famosissimo personaggio della Roma imperiale; vissuto nel II sec. d.C., fu retore e precettore degli imperatori Lucio Vero e Marco Aurelio. Sposando Annia Regilla, dell'illustre famiglia degli Annii e discendente di Attilio Regolo, ebbe come dote questo fondo, che aveva il suo centro di attività nella villa su cui in seguito fu costruito il palazzo di Massenzio, al di là dell'Appia Pignatelli.
Erode Attico, morta la moglie, fu accusato di averla assassinata, e quando poi uscì assolto dal processo si dette ad esagerate manifestazioni di lutto.
In onore di Annia Regilla ristrutturò tutto il fondo, a cui diede il nome di Triopio in ricordo di Triopas, re di Tessaglia, che aveva dedicato a Demetra, dea delle messi, un santuario nella città di Cnido in Asia minore. E infatti Erode dedicò un tempio a Cerere, la dea romana corrispondente alla Demetra dei Greci, e a Faustina, imperatrice da poco morta e quindi divinizzata.
Egli volle in questo modo porre la sua proprietà al di sopra dei comuni interessi umani; nello stesso tempo il ricordo del re Triopas doveva servire a tenere lontani dal fondo di Erode i malintenzionati che si fossero avvicinati per rubare e per recare danno alla sua proprietà. Triopas infatti, secondo la leggenda, aveva osato tagliare la legna del bosco sacro a Demetra, e per questo era stato da lei punito con una fame insaziabile che lo aveva portato alla morte.
Il Triopio era un fondo ricchissimo, che si estendeva fino al mausoleo di Cecilia Metella (sull'Appia Antica), dove aveva il centro agricolo e dove viveva la popolazione rurale
In quei paraggi sono state trovate molte epigrafi, che, insieme con le descrizioni di alcuni scrittori antichi, ci forniscono notizie interessanti: c'erano campi di grano, olivi, vigne, prati, la stazione di polizia, il luogo sacro a Nemesi e Minerva, il parco, il villaggio colonico e la villa residenziale; era quindi una signorile villa suburbana e nello stesso tempo una ricca e operosa azienda agricola.
Oggi sono ancora molti i resti storici che in Caffarella testimoniano la presenza di una così ricca tenuta. Tra tutti ricordiamo il già citato tempio di Cerere e Faustina, pressoché intatto, anche perché fu trasformato in luogo di culto cristiano forse già nella tarda antichità assicurandogli quella manutenzione che lo ha conservato integro nei secoli; fu infatti dedicato a S. Urbano, un vescovo martirizzato al tempo di Marco Aurelio; diversi affreschi ornano l'interno, e in particolare, nella piccola cripta, si può ammirare una Madonna con Bambino e Santi del X secolo.
Ai piedi della collina dove si erge la chiesa di S. Urbano c'è il cosiddetto ninfeo di Egeria, una grotta artificiale in prossimità di una sorgente di acqua minerale acidula. Questa grotta era preceduta da un portico che si specchiava in un bacino nel quale si raccoglieva l'acqua della sorgente. Da qui l'acqua passava in un vasto laghetto dove confluivano anche le acque dell'Almone formando probabilmente il Lacus Salutaris ricordato dalle cronache del tempo, "salutare" proprio per le qualità terapeutiche delle sue acque. Anche questo ninfeo faceva parte del Triopio di Erode Attico e, con le sue sontuose fontane, costituiva un piacevole luogo di riposo estivo. Poco distante, nel verde fondovalle, tra il fiume Almone e l'odierna via della Caffarella, si trova la cosiddetta tomba di Annia Regilla, uno dei più bei monumenti ancora intatti che esistono a Roma. Alcuni studiosi ritengono che questo sia il sepolcro dedicato da Erode Attico alla moglie ma la tradizione l'ha tramandato a noi come il tempio del dio Redicolo, che in realtà era all'altezza della chiesa del Domine Quo Vadis (sull'Appia Antica).nel versante della valle verso l'Appia Antica si intrecciano i cunicoli delle catacombe ebraiche, quelle di Pretestato e parte di quelle di S. Sebastiano.
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